Alberto Biasi - BIENNALE Arti Visive 99

 

Vuoi per la nebbia al padiglione belga o per il fachiro che all'improvviso spunta dalla sabbia, vuoi per la colata di polvere rossa al padiglione statunitense o per i tatuaggi e per le ombre in quello dei cechi e slovacchi, molti di quelli che hanno visitato la Biennale, soprattutto giovani, ne sono rimasti eccitati. Dicono che la Biennale é come un cazzotto: ti colpisce e in un sol colpo ti fa entrare in un clima dell'arte senza frontiere. Se però chiedi a loro di raccontare quello che hanno visto, scopri che non ricordano, che nei loro occhi é rimasta la meraviglia per gli spazi delle Corderie, della Polveriera, delle Artiglierie, ma non la memoria delle centinaia di bicchieri o dei grandi tamburi o degli innumerevoli video con polli allo spiedo ed altro.

D'altronde se, spinto da biennale curiosità, vai a visitarla, rimani travolto da una quantità innumerevole di riprese fotografiche sotto forma di video e di istantanee. Fortunatamente, a limitare la durata visiva di quest'ultime provvede un robot il cui compito é quello di ritagliare fotografie a migliaia e di sparpagliarne i frammenti a terra, mentre a troncare le sequenze dei video ed a rimuoverle dalla memoria provvede l'itinerario. Intendo dire che l'uscita lungo il Bacino dell'Arsenale e lungo la riva di San Marco sono talmente gratificanti sotto il profilo estetico da far subito dimenticare quant'altro si é visto in precedenza.

Poi però scopri che sei infastidito perchè non volevi vedere una biennale del cinema ed in fondo ti é rimasta la voglia di pittura e scultura. In verità c'é qualche surrogato del genere: ad esempio, i neri toponi di Katharina Fritsch. Ma, dato che ai Giardini topi e pantegane già ci sono, non sarebbe stato più piacevole, anche per rispetto della storia, esporre un grande Gabibbo? E, comunque, in tema di esclusioni ed in sintonia con le numerose presenze di stracci, plastica e altre materie da discarica, perché non riservare una sala omaggio a predecessori quali il triciclo-casa del defunto Ernesto, il biroccio di "Corni freschi", altro notissimo padovano,   o  "Er bambolaro", tale Peppino Russo, nato a Napoli, di De Crescenzo racconto? Questi, nella realtà, corrispondono a casi di autentica e pesante emarginazione sociale. E' un delitto che non siano stati accolti in casa loro. In effetti,   pensando al titolo "dAPERTutto" e guardando l'arte scovata ed esposta dal curatore, sembrerebbe che questa Biennale sia il fondamento di una apertura totale. Ed invece no. Prima di tutto perchè, se il curatore fosse stato coerente, non si srebbe limitato alle esternazioni critiche, ma avrebbe fatto chiudere i Giardini e proclamato che da giugno a settembre la Biennale é ovunque, in tutto il mondo, anche nel cesso di casa. Poi perchè l'ottimo Harald Szemann ha sì accusato che dal 1970 sono stati esposti sempre gli stessi artisti, ma non per restituire il Padiglione Centrale agli artisti italiani o alle tendenze, cui spudoratamente da anni viene negata quella visibilità, bensì   per trasformare quel palcoscenico e annesso arsenale in una specie di solidarnosc, dove far ristagnare quanto emerge con l'etichetta "arte", dove ogni vitalità si scarica per impaludarsi, per diventare nient'altro che ossessiva ripetizione ad uso e consumo dell'establishment della critica e delle lobbies mercantili. Tutto come sempre.

Io non so cosa abbiano provato i miei colleghi artisti, visitando questa Biennale, se giovanile eccitazione o senescente depressione. Personalmente mi sono sentito tagliato fuori, totalmente emarginato ma, essendo un pò masochista, mi sono ugualmente eccitato. Per questo chiedo al Presidente Paolo Baratta e ai Consiglieri della Biennale : sapete cosa state facendo? E aggiungo: se, nonostante tutto, la Biennale deve continuare, almeno per la prossima... altrettanti siano i curatori quanti gli artisti. Si potrebbero così annoverare centinaia di critici d'arte, ognuno con le sue concezioni dell'arte, ognuno con le sue scelte. La gente ugualmente non capirebbe che cosa è l'arte, ma forse la Biennale risulterebbe più aperta.

Alberto Biasi

Padova 26 luglio 1999

 

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